SAN GERLANDO, VITA E MIRACOLI DEL SANTO PATRONO DI AGRIGENTO

di Elio Di Bella

                                                                                              All’inizio della seconda metà del secolo IX, gli Arabi completa­rono la conquista territoriale della Sicilia e si insediarono stabil­mente in Agrigento, che rimase sotto la loro dominazione per ol­tre due secoli.   Per quanto riguarda l’aspetto religioso, gli storici non parlano di violente persecuzioni contro i cristiani. Ma sicuramente non sono mancati degli episodi, che seppur isolati, hanno assunto va­lore intimidatorio. Subdolamente intelligente e sistematica inve­ce, fu la persecuzione incruenta, finalizzata ad uno scopo preci­so: emarginare il cristianesimo e favorire sempre più massiccia­mente l’affermazione dell’Islam. Così veniva incoraggiato con ogni mezzo l’impegno a diffondere la dottrina di Maometto e privilegi ed esenzioni da imposte venivano assicurati, a quanti professava­no la fede in Allah. Insomma, con tutti gli accorgimenti e le risor­se del potere, si favoriva il dominio incontrastato della cultura e religione islamiche.

La pratica della religione cristiana fu consentita solo nel priva­to: niente suono di campane, proibita la costruzione di nuove Chie­se, ma, ancora più grave, divieto assoluto di ogni forma di an­nuncio di Cristo, salvatore e redentore. Il diritto di far proseliti lo avevano solo i musulmani; per i cristiani, proibizione rigida di evangelizzazione.

In questa situazione, mentre gli Arabi, con lucido e perfido di­segno, portavano avanti il loro programma di conquista culturale e religiosa, dopo quella territoriale, ecco l’arrivo di un popolo del Nord: i Normanni.

Gli Arabi vengono sconfitti e cacciati, anche dalla nostra terra agrigentina, dove più a lungo avevano tentato di resistere. La Si­cilia tutta così viene restituita all’Italia ed all’Europa, la cultura cristiana può tornare ad essere diffusa, il Vangelo annunziato.

1088 – 1100: sono gli anni del servizio pastorale di S. Gerlan-do, alla nostra diocesi, ritornata a potere liberamente professare e diffondere la fede cristiana.

Gerlando di Besancon

Il Santo Vescovo, nato nel 1030 circa, muore in Agrigento pro­prio alla fine del secolo XI che perciò Mons. De Gregorio, storico della diocesi agrigentina, chiama « secolo di S. Gerlando ».

Per far conoscere ai nostri lettori, questa grande figura di uo­mo e di vescovo, ci serviamo della biografia scritta da Mons. Domenico De Gregorio: una biografia ampiamente documentata, al punto di avere strappato il consenso di un grande studioso olan­dese, il Prof. Rijk, docente all’Università di Lovanio.

S. Gerlando, nacque a Besancon, città della Francia centro orientale, sul fiume Doubs, presso il canale che congiunge il Rodano al Reno, a m. 245 s.l.m., oggi con circa 120.000 abitanti.

Proveniente da una nobile famiglia, imparentata anche con il Conte Ruggero Altavilla, il piccolo Gerlando fu cristianamente edu­cato e quasi provvidenzialmente preparato alla futura missione, con l’esercizio costante ed eroico delle virtù.

Il nome imposto deriverebbe dal latino « gero » (porto) e dal germanico « land », mentre gli studiosi moderni lo fanno deriva­re dall’antico tedesco, col significato di bastone o lancia, e quindi di guerriero ardito e coraggioso.

A Besancon, Gerlando si formò alla scuola del Capitolo di S. Paolo, acquisendo una cultura solida e sicura, da consentirgli la pubblicazione di varie opere. Alcune di carattere grammaticale, letterario e scientifico, o come si diceva allora, nelle arti del trivio e del quadrivio; altre, specificamente religiose, come un trattato sui Salmi ed un commento ai Vangeli sinottici (Matteo, Marco, Luca). Ma tra tutte le opere, la più famosa è il Compotus, per cui Gerlando, in tanti manoscritti del tempo è citato come un’au­torità indiscussa.

In quest’opera vengono trattati gli argomenti più diversi, dalla lunazione al calendario romano, alle eclissi, equinozi e solstizi, al giorno della passione di Cristo, alla celebrazione della Pasqua.

san gerlando3Insomma un’enciclopedia del tempo, che testimonia la sua va­stissima cultura ed il suo desiderio di ordine e sistematicità, asso­lutamente alieno da superficialità ed improvvisazione. Uno stori­co del tempo lo definì efficacemente: « homu di grandi cantati e di grandi litteratura ».

La città di Besancon, in cui S. Gerlando nacque e si formò, non dista molto da Cluny, il famoso monastero in cui si preparò culturalmente e spiritualmente la famosa riforma, di cui la Chie­sa del tempo aveva assolutamente bisogno.

Nel 1075 Papa Gregorio VII (il monaco Ildebrando di Soana), che pur provenendo dal clima religioso-culturale di Cluny, aveva in un primo tempo riconosciuto 0 potere reale-imperiale ancora come coordinato a quello pontificio, iniziò la lotta, proibendo l’in­vestitura laica dei Vescovi; bisognava, senza indugi, liberare la Chiesa dalle compromissioni politiche e dalle ipoteche del potere temporale. La forza che Papa Gregorio, animato dalla più pura intenzione dispiega, è semplicemente sovrumana e costituisce la sua formale peculiarità.

Gerlando, che nella giovinezza aveva interiorizzato le istanze di riforma, adesso nell’età matura partecipa alla lotta, dalla parte del Papa, non per opportunismo tattico, ma per profonda convin­zione e sincera adesione ideale.

Venuto in Italia, forse in pellegrinaggio a Roma, per visitare le tombe degli apostoli, per invito di Ruggero si trasferisce in Ca­labria, a Mileto. Dal 1063, i Normanni avevano fatto di questa città calabra, il centro delle loro conquiste e la capitale dei loro possedimenti nell’Italia meridionale.

In seno alla Comunità ecclesiale di Mileto, Gerlando divenne primicerio, cioè capo della schola cantorum, con il compito di istruire, non solo nel canto, ma anche nelle discipline ecclesiasti­che, il Clero ed il popolo.
Ma questo lavoro fu bruscamente interrotto, quando Gerlando si convinse della inutilità dei suoi sforzi, per correggere i com­portamenti del Clero, negativamente condizionato da una cultura sostanziata di carrierismo simoniaco e scostumato.

Così, improvvisamente, ritornò a Besangon, senza avvisare nem­meno Ruggero, il politico emergente del tempo, da cui avrebbe potuto ottenere vantaggi e promozioni, dato che stava per essere completata la conquista della nostra isola.

E proprio da Ruggero, non molto tempo dopo, fu invitato a la­sciare la tranquilla Besangon, per venire a ricostituire la Chiesa agrigentina, accettando l’onere dell’episcopato.

Gerlando, che non aveva affato sollecitato la scelta della sua persona, vi scorge un disegno divino. Nel nuovo campo di lavo­ro, avrebbe potuto, stavolta, lavorare con poteri non limitati da altri, anche se le difficoltà non sarebbero certamente mancate.

Gerlando di Besangon Vescovo

Pertanto accetta e torna in Calabria e poi in Sicilia, con gli stes­si ambasciatori di Ruggero. Durante questo viaggio, fu consacra­to Vescovo a Roma dal Papa, il beato Urbano II, che nella bolla di conferma della diocesi, così gli scrive: « Carissimo fratello Ger­lando, che il Signore onnipotente, nella stessa Chiesa, si è degna­to di consacrare, per mezzo delle nostre mani, come di quelle di S. Pietro… ».

Iniziando a circa 58 anni, nella piena maturità, il servizio pa­storale, Gerlando, porta con se da Besangon, quattro sacerdoti collaboratori, che condividevano pienamente con lui idee e pro­getti pastorali, secondo lo spirito della riforma gregoriana: Deo-dato, Gerardo, Norberto e Gerardo.

Sulla persona fisica e qualità morale del nuovo pastore, si leg­ge in un documento del tempo: « …era alto di statura, bellissimo nella persona, oratore facondo, prudente e abile nel consiglio e nell’azione, generoso e munifico, dal portamento dignitoso e splen­dido per onestà di costumi ».

La sua attenzione di Vescovo si rivolse subito, prioritariamen­te, ai pochi cristiani, per alimentare ed irrobustire la loro fede, passando poi gradualmente alla conversione degli Ebrei e dei Mu­sulmani.

Lo stesso Hamud, l’ultimo signore arabo della Città, si fece bat­tezzare da S. Gerlando, assieme alla moglie ed ai figli.

Apprezzate da tutti le virtù del Vescovo Gerlando: la sua po­vertà, rettitudine d’intenzione, grande umanità e dottrina.

Con grande zelo si diede alla organizzazione della diocesi, che allora, oltre ai territori delle due attuali provincie di Agrigento e Caltanissetta, comprendeva anche parte di quella di Palermo e di Monreale.

  1. Gerlando costruì o ricostruì tante Chiese, costituì parrocchie, assegnando le decime per il culto ed il sostenimento del Clero.

Non trascurò la fondazione di monasteri, quali luoghi propri di raccoglimento e preghiera, per il bene della Chiesa tutta e del­la nostra Diocesi.

Particolarmente curata la liturgia, al punto da lasciare tracce in libri del tempo, dove si dice: « …secundum consuetudinem Ec-clesiae Agrigentinae » (secondo la consuetudine della Chiesa Agri­gentina).

Viaggiò tanto, con tutte le difficoltà di quei tempi, per stabilire un rapporto personale, non effimero, con i Sacerdoti, provvedere ai loro bisogni e sostenerli nel loro ministero di evangelizzazione ed iniziazione cristiana. Valorizzò il Capitolo, per avvalersi di ec­clesiastici capaci di assecondare le sue spinte di rinnovamento, che si collegavano bene alle direttive di Urbano II.

 Costruisce la Cattedrale

Dopo avere usato dapprincipio, come Cattedrale, la Chiesa di S. Maria dei Greci, in sei anni ne costruì una nuova, come Chie­sa Madre di tutte le Chiese agrigentine, consacrandola solenne­mente alla Beata Maria sempre Vergine Assunta in Cielo, a S. Giacomo ed a tutti gli Apostoli.

E gli studiosi concordano nel far notare che, a parte qualche aiuto del conte Ruggero, S. Gerlando realizzò l’opera, con la sua iniziativa, le sue fatiche e la ricerca dei mezzi necessari.

Ma un monumento ancora più significativo della Cattedrale, fu la sua opera di riforma dei costumi. Esempio fulgido di castità, di libertà e di fedeltà alla Chiesa, Gerlando, in tempi di corruzio­ne diffusa e di strisciante, quando non aperta, apostasia, si pre­fisse di ricollegare la Chiesa Agrigentina alla sede di Pietro, vi­vendo nella più perfetta obbedienza e comunione al Vicario di Gesù Cristo, che è il Papa, Vescovo di Roma.

L’apertura e disponibilità alla grazia del Vescovo Gerlando, de­rivavano dal suo distacco dalle cose terrene e dall’assoluta man­canza di mire umane, nel suo servizio pastorale.

Predicatore instacabile, diffonde con zelo e dottrina la Parola di Dio, esortando, consigliando, difendendo strenuamente la verità.

I dodici anni del suo episcopato, sono lapidariamente riassunti nelle parole di un antico documento: « Nella povertà generoso, nell’ospitalità pio, nel donare munifico, nella carità splendido “Esercitò la presidenza con ogni mansuetudine e religione” ».

E il segreto della sua santità ed operosità apostolica fu la devo­zione all’Eucarestia, in cui trovava la forza divina che lo sorreg­geva e la dolcezza che lo confortava, come espressamente sottoli­nea un’antifona dell’Ufficio.

« Come è legge di natura, i tratti fisici del padre si trasmettono nei figli: la Chiesa Agrigentina nella sua storia, ormai millenaria, ha sempre conservato nei suoi Santi Vescovi e nei suoi figli mi­gliori, sino al giorno d’oggi, l’impronta incancellabile, i tratti fi­sionomici del suo Padre e Protettore », scive Mons. De Gregorio nelTapprezzata biografia. Un buon augurio.

  1. Gerlando dovette scrivere e conservare tanti documenti ri­guardanti gli atti più significativi del suo magistero, dalle nomine di Parroci e Cappellani, alla regolamentazione dei vari enti eccle­siastici, alle disposizioni liturgiche. Si ha solo traccia di un possi­bile Sinodo agrigentino, da lui convocato e presieduto, mentre la sua attività di governo è simbolicamente rappresentata in una formella dell’urna argentea, in cui S. Gerlando è raffigurato assi­so sulla Cattedra, amorevolmente circondato dal Clero e dal po­polo.

 Partecipa al Concilio

Nel 1099, subito dopo la Pasqua, si svolse a Roma un Conci­lio, al quale il Vescovo Gerlando partecipò, votando per confer­mare i decreti papali, che rivendicavano la libertà della Chiesa da ogni potere umano e gli ideali della santità evangelica

Il 15 luglio 1099 Gerusalemme fu conquistata, ma la gioiosa notizia non arrivò in tempo a Urbano II, che moriva il 29 dello stesso mese, assistito anche da S. Gerlando. Tra la fine del Con­cilio e la malattia e la morte di Papa Urbano, al quale S. Gerlan­do era molto legato, non mancò il tempo per il santo Vescovo agri­gentino, di offrire al Pontefice una panoramica precisa e puntua­le della situazione della nostra diocesi.

Dopo l’elezione, il 14 agosto 1099, del nuovo Papa Pasquale II, al quale S. Gerlando prestò l’omaggio dell’obbedienza, risulta documentato il viaggio verso Agrigento.

Un viaggio a tappe, perché il nostro Santo si fermò anche a Ba-gnara, in Calabria, dove trovò Dragone, priore del famoso Mona­stero di S. Maria dei Dodici Apostoli e al quale S. Gerlando ma­nifestò la sua anima, informandolo della sua prossima dipartita verso il cielo e preannunciandogli che gli sarebbe succeduto nel­la Cattedra episcopale agrigentina.

La Morte

Rientrato in sede, pur presentendo vicina la sua fine, S. Ger­lando riprese con il consueto zelo il suo servizio pastorale, facen­dosi così trovare sulla breccia da sorella morte, che lo colse il 25 febbraio dell’anno 1100, allora primo sabato di quaresima.

Il corpo fu esposto nel Coro della Cattedrale e fatto oggetto di grande riverenza da parte di tutto il popolo, in attesa dell’arrivo dei Vescovi siciliani, per i solenni funerali.

In un documento del tempo si legge: « Non sembrava il corpo di un uomo, ma di un angelo, come abbiamo appreso con testi­monianza di quelli che erano presenti, ed emise una tale fragran­za di straordinario odore, sparso nel Coro e in tutta la Chiesa, che tutti i presenti ne erano ammirati e insieme lodavano Dio, che aveva conferito un tale privilegio al suo Santo Confessore ».

Dopo i funerali, il corpo di S. Gerlando fu posto in un sarcofa­go, collocato in un primo tempo nell’atrio della Cattedrale.

Successivamente, con una traslazione corrispondente ad una vera e propria canonizzazione, secondo le norme ecclesiastiche del tempo, durante l’episcopato di Mons. Gentile, nel 1159, fu collocato all’interno della Cattedrale, al lato destro.

Il sarcofago è stato oggetto di vari e premurosi interventi, per una sempre più degna sistemazione. L’ultima è stata quella di S.E.Mons. Bartolomeo Lagumina, che a sue spese fece costruire il portale a ferro battuto, che chiude la Cappella chiaramontana, riscoperta in precedenti lavori di sistemazione della Cattedrale, sempre durante il suo episcopato (1899-1931).

Parimenti, parecche sono le ricognizioni del corpo del Santo, eseguite nel corso dei secoli. La più recente è del 1° maggio 1970, ad opera di S.E.Mons. Giuseppe Petralia, il quale, a ricordo del­l’avvenuta ricognizione, ha scritto uno storico documento, che si conclude con parole che ci sembrano più adatte per l’inizio di questo decennio gerlandiano: « Ci conceda Dio che la vita cri­stiana, così promettente dopo il Concilio Vaticano II, progredisca in questo nostro tempo per l’esempio degli antenati e fiorisca al tramonto del 2° millennio, con quello stesso vigore con cui fiorì alla sua alba gloriosa ».

 

Posted by SanGerlando